La Strategia per costruire un team vincente di Steve Kerr

Mi è recentemente capitato di leggere un piccolo libro intitolato “The team Building Strategies of Steve Kerr” nel quale viene snocciolata la metodologia utilizzata dal coach dei Golden State Warriors per costruire la cultura vincente alla base di un team che ha dominato le ultime stagioni NBA.
Ho provato dunque a riassumere i concetti più importanti.
Il percorso si divide in tre parti: porre le basi, costruire una cultura e, infine, costruire una mentalità.

Parte 1 – Porre le basi

Uno degli aspetti della crescita di un coach passa necessariamente attraverso il trovare un modello da seguire, o quantomeno dei mentori a cui ispirarsi.

Come si prepara un coach NBA? Come è risucito Kerr a essere già pronto ala sua prima esperienza? La risposta è semplice, Kerr si è preparato per lungo tempo, talvolta senza nemmeno esserne pienamente cosciente.

Per Kerr questi mentori sono stati i suoi alleantori durante la sua carriera da giocatore:

  • Lute Olson al college (coach della University of Arizona per 24 anni con un record di 587 vittorie e un titolo nazionale)
    • Cotton Fitzsimmons per una stagione (832 vittorie in NBA)
    • Lenny Wilkens per 3 stagioni e mezza (1332)
    • Phil Jackson per 5 stagioni (1155)
    • Maurice Cheeks per 1 stagione (305)
    • Greg Popovic per 4 stagioni (971…)

Da giocatore Kerr ha vinto 5 anelli NBA, il che lo ha portato a ricevere tanti piccoli insegnamenti.Ogni allenatore avuto aveva una personalità diversa rispetto all’altro, per questo diventa importante imparare da tutti ma scegliere la propria metodologia di coaching sulla base delle proprie caratteristiche.
Kerr dice che “quello che tutti i miei mentori mi hanno insegnato è: Sii te stesso, sii onesto, rispetta i tuoi principi e tutto funzionerà alla perfezione”.

Il secondo aspetto importante è quello di prepararsi costantemente per quando arriverà il proprio momento.
A dire il vero Kerr non aveva programmato di diventare coach, ma visto il suo background, la sua attitudine e la sua esperienza ha avuto modo di formarsi con i migliori e imparare da loro, ma soprattutto di farsi una idea su come le cose debbano essere fatte.
L’insegnamento più importante lo ha avuto da Jeff Van Gundy: “ Prendi nota di tutto, Tutto ciò che hai imparato, tutto ciò che vuoi fare, tutto ciò che intendi cambiare. Questo ti permette di organizzare i tuoi pensieri e così, di sviluppare la tua filosofia”. Kerr prese alla lettera questo insegnamento, e iniziò a prendere nota di tutto quello che gli accadeva intorno, appuntandosi le cose più macroscopiche fino ai piccoli dettagli, non sapendo poi cosa gli sarebbe stato utile in futuro.
Partì prendendo nota dei giochi, di quelli che gli piaceva e di quelli che avrebbe modificato se fosse stato un coach. Si stava formando come allenatore senza nemmeno rendersene conto.

Parte 2 – Costruire una cultura condivisa per il team

Ogni azienda o gruppo dovrebbe avere una serie di valori fondamentali da condividere.

All’inizio di ogni percorso, il problema maggiore da affrontare è che ogni membro del team porta con se credenze, priorità e obiettivi diversi; è compito del leader provare a livellare questi valori e fare in modo che il gruppo si sintonizzi su qualcosa di condiviso.
Il problema in più degli sport di squadra di alto livello è che i giocatori hanno un istinto più legato al sé che alla squadra. Chi meno pronunciato chi nettamente più ingombrante. Diventa dunque più complesso per un coach riuscire a placare questi istinti “selfish” e trasformarli in spirito di squadra.
Uno dei modi che Kerr utilizza per diffondere tali valori è ripeterli in continuazione e in ogni situazione. I suoi giocatori sono circondati dai valori che coach Kerr vuole che siano condivisi dal team. Durante gli allenamenti, fuori dal campo, nelle regole di tutti i giorni, i valori fondamentali regolano l’organizzazione. Il principio è che non basta dire a un gruppo di essere squadra per fare in modo che accada.

I valori fondamentali che Kerr ha impiantato nel sistema Warriors sono:

  • Divertimento: la gioia di fare quel che si sta facendo è la base su cui costruire un gruppo vincente. Senza felicità diventa complesso lavorare bene ed efficacemente.
  • Concentrazione: Massima attenzione sugli obiettivi di squadra e non su quelli individuali, ma costante impegno sui dettagli.
  • Compassione: verso gli altri e per il gioco della pallacanestro
  • Competizione: con l’obiettivo di alzare l’asticella.

Una volta che il sistema di valori è condiviso e penetrato all’interno dell’organizzazione, inizia il percorso di costruzione della squadra. E’ necessario rimanere flessibili nel sistemare le necessità e le personalità di tutti i membri del team. Ogni giocatore è in grado di lavorare insieme agli altri per un obiettivo condiviso ma rimane comunque unico e con le proprie peculiarità. Questa lezione l’ha sicuramente appresa da coach Popovic nella sua filosofia di allenatore dei San Antonio Spurs.
Coach Pop era riuscito a gestire un talento cristallino come quello di Manu Ginobili, nonostante alcuni aspetti del suo gioco (come i suoi passaggi da circo) non sposassero il suo stile di basket, ma  aveva capito che non sarebbe stato sbagliato imbrigliare il giocatore nella sua visione di pallacanestro e lo aveva dunque lasciato libero di esprimersi.
La medesima cosa che Kerr avrebbe poi fatto con Steph Curry da allenatore.
Sia con i tiri “ignoranti” di Curry, ma anche con il carattere bizzarro di Draymond Green, Kerr ha sempre ritenuto utile per il fine ultimo del team, lasciare delle zone di libertà ai suoi giocatori, permettendogli di esprimere tutta la loro libertà. Essere leader non significa prevaricare, ma fidarsi dei propri collaboratori, certamente insistendo in quei valori e in quegli aspetti fondamentali su cui si fonda l’organizzazione, ma lasciando comunque tante libertà ai propri collaboratori.

Quando Kerr divenne head coach dei Warriors subentrò a Mark Jackson, che era stato capo allenatore negli ultimi 3 anni, portando la franchigia ad un record positivo e ai playoff dopo una lunga astinenza durata 17 anni. Il suo lavoro non era dunque completamente da buttare, nonostante il club avesse sentito la necessità di un cambio di rotta. Kerr prese dunque del tempo per osservare e capire quali meccanismi era virtuosi e quali invece necessitassero di un miglioramento.
L’avvento di un nuovo coach non era dunque stato caratterizzato da un cambiamento radicale; l’ego di Kerr non aveva preso il sopravvento, ma anzi, lui stesso aveva speso molte parole nel sottolineare quanto il lavoro di Jackson e l’impegno dei giocatori degli anni precedenti fosse davvero lodevole. Kerr non voleva essere il ragazzo con la risposta pronta a tutto, l’aggiustatore. Mostrando rispetto per i giocatori e per i traguardi che avevano raggiunto riuscì a creare coesione. L’approcciò fu quindi di dire “prendiamo quello di buono che avete fatto e proviamo a migliorarlo ancora di più: alziamo ulteriormente l’asticella!”. L’insegnamento che ne traiamo è che molte volte non serve rivoluzionare per cambiare. Dobbiamo continuare a utilizzare quello che va bene, e cambiare solo quello che non va.

Una cosa che Kerr ha imparato sulla sua pelle è che le buone idee possono venire da chiunque.
Un altro aspetto importante dell’abilità di Kerr di controllare il suo ego gli permise di ascoltare gli altri. Partendo dal presupposto che era consapevole di non avere tutte le risposte, capì che il contributo del suo staff sarebbe diventato cruciale.
Un esempio di questo aspetto ci viene da un aneddoto capitato durante le NBA Finals del 2015.
I Warriors avevano vinto gara 1 ma perso le seguenti due gare contro i Cleveland Cavaliers di Lebron James, che li avevano battuti riuscendo a far prevalere la loro pallacanestro più lenta e più fisica rispetto a quella degli Warriors. L’inerzia era tutta dagli avversari, come fare a cambiarla?
Nick U’Ren era un membro dello staff di Kerr, tecnicamente non un coach, più un analista, si occupava di scegliere la musica per gli allenamenti, di tagliare le clip degli highlights, di ricordare al coach gli impegni con la stampa, ecc..
La notte prima di gara 4, riguardando le finali dell’anno prima fra Miami Heat e San Antonio Spurs, notò che la squadra di Popovich si era trovata nella loro medesima difficoltà ma era riuscita ad avere la meglio sulla vecchia squadra di Lebron abbassando lo starting five privandosi di Tiago Splitter e inserendo Boris Diaw. Alle 3.00 del mattino inviò l’idea a coach Kerr: perché non partire con Andre Iguodala al posto di Andrew Bogut?
Nonostante in stagione i Warriors avessero vinto 67 partite con Bogut in quintetto, Kerr decise di ascoltare il suo collaboratore e grazie alla sua idea vinse gara 4 103 – 82, ridando l’inerzia necessaria alla squadra per la conquista finale del titolo.
Senza U’Ren probabilmente i Warriors avrebbero perso la serie e la dinastia non sarebbe mai iniziata.

Parte 3 – Mentalità

In questa ultima parte andremo ad analizzare alcuni aspetti della mentalità di Kerr che ha provato a trasmettere ai suoi giocatori:

  • Empatia
    Diventa complesso gestire 12 maschi alpha in uno spogliatoio NBA. Non dimentichiamoci che il peggior giocatore Nba è comunque stato la stella di qualche college o high school o squadra del resto del mondo. Il lavoro del coach è quello di tenere sotto controllo l’ego di tutti, mantenendo alta la fiducia e facendo in modo che lavorino assieme verso un obiettivo comune.
    Il primo tratto caratteristico di Kerr è il far sentire a ciascuno che c’è bisogno di lui.
    Citando Phil Jackson potremmo dire che “gli ultimi in fondo alla panchina definiscono la chimica di squadra”; Se li ignori, se non giocano mai, se non si sentono considerati diverranno acidi e tutti gli sforzi di tenere insieme il gruppo saranno vani. Per questo motivo, per Kerr è più importante gestire le rotazioni delle riserve che quelle del quintetto. Occorre avere compassione e farli sentire parte della squadra. Kerr si è guadagnato il rispetto dei giocatori trattandoli tutti ugualmente.
  • Divertimento
    Ogni squadra, organizzazione, gruppo è fatto di persone. Ciascuna di esse ha le sue forze e le sue debolezze, ma alla fine, tutte vogliono sentirsi parte di qualcosa di importante, e divertirsi nel farlo.
    Uno degli aspetti di cui un coach dovrebbe preoccuparsi è che i suoi giocatori siano felici. Non solo, tutti gli allenamenti di Kerr sono impostati sul concetto che i giocatori sono più produttivi quando non sono annoiati.
  • Mantenere la prospettiva
    Kerr crede che divertirsi come squadra può contribuire notevolmente al successo, ma questo permette anche di mantenere una certa prospettiva sulla vita. Una delle ragioni, secondo Kerr, per cui i suoi Warriors sono diventati “speciali” è perché i membri del team sono felici di far parte di quel gruppo; nessuno si preoccupa dei record da infrangere, semplicemente si divertono ad ogni partita.
    Il loro focus non è vincere, ma semplicemente si sentono fortunati nel fare del loro lavoro qualcosa che amano profondamente.
    Per Kerr l’aspetto più importante è rendersi conto che la serietà nel lavoro non deve invadere completamente la nostra vita. Nonostante gli obiettivi possano essere ambiziosi, bisogna sempre ricordarsi che il lavoro è parte della vita, non la sua totalità. Per questo motivo Kerr crede che avere interessi al di fuori del basket abbia aiutato la sua squadra a raggiungere il successo.
    Come lo ha messo in pratica? Invitando agli allenamenti tanti personaggi che c’entravano poco col basket, ma che potevano dare qualche consiglio, o semplicemente una visione delle cose diversa da quella che erano abituati a sentire i suoi giocatori.
  • Capire quello che conta davvero
    Nella vita di Kerr sono successe tante cose, la peggiore è stata quella di vedere suo padre, professore presso l’Università Americana di Beirut, assassinato da una organizzazione estremista. Per il giovane Kerr la pallacanestro era stata un luogo in cui rinchiudersi e superare quel tremendo periodo aveva contribuito decisamente a formare una mentalità che non si concentrasse solo sullo sport.
    Per lui vincere campionati non è la cosa più importante nella vita. E probabilmente questo gli ha alleggerito molto il lavoro.

In conclusione, quello che Kerr e gli Warriors ci hanno dimostrato è che l’empatia, la gioia e l’altruismo possono giocare un ruolo chiave nell’avere successo. Creando un ambiente in cui il leader comprende i sentimenti di ogni altro membro del gruppo, e dove ognuno si sente potenziato dallo stare in quel gruppo, Kerr è stato in grado di creare una delle migliori squadre della storia della NBA.

Vai alla barra degli strumenti